Come ci guardiamo?

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In che modo ti guardi dentro la sera, prima di addormentarti? Ti ami, ti giudichi, ti critichi o fai pace con il tuo mondo interiore?

Sto leggendo un libro che esplora i percorsi di visualizzazione , intitolato “Le terapie immaginative” . L’autore, Claudio Widmann, è un analista junghiano. Il testo è un tomo di 700 pagine molto interessante che presenta diversi percorsi immaginativi messi a punto a partire dall’800, con un’utile prefazione sul mondo antico e sulle esperienze dei nativi americani. Un’osservazione dell’autore che mi ha colpito, secondo la quale i modi con cui dialoghiamo con l’inconscio sono sostanzialmente due: il primo che cerca di conoscerlo per permettere all’Io di meglio controllarlo al termine della sua esplorazione, il secondo che desidera una collaborazione utile dove il dialogo non è un interrogatorio della parte razionale che riesce, con le buone e con le cattive, a conquistare, sedurre, imbrigliare la parte bambina ingenua e poco ragionevole ma un incontro tra due modi diversi di considerare il mondo e noi stessi .  Questo secondo  modo di stabilire il rapporto è inclusivo, è attento al linguaggio comunicativo perché ricerca forme: artistiche, metaforiche, immaginali particolarmente adatte all’espressione dell’inconscio e le affianca ai momenti comunicativi tradizionali. Utilizza per questo diverse modalità e immagina la realtà come un insieme sfaccettato, all’apparenza contraddittorio ma in realtà multiforme e ricco della propria diversità. Questo secondo modo accetta che tutte e due le parti abbiano la loro verità. La prima è quella razionale che guarda noi e il mondo e ne conosce la complessità strutturale, che sa utilizzare il linguaggio analitico, la descrizione, i principi di vero e falso, il concetto che se una proposizione è vera, non lo è il suo contrario. La seconda è quella che invece utilizza il linguaggio analogico, l’immagine, la metafora, che lascia fiorire il pensiero intuitivo e ne segue il percorso, che decide in un attimo mentre il pensiero razionale può impiegare giorni, mesi, anni per scegliere. Il percorso di integrazione, come lo intendo io, è del secondo tipo: un dialogo tra diversi.

Chiamo questa esperienza percorso di integrazione perché è un cammino, che dura tutta la vita. L’importante non è la meta da raggiungere ma il percorso, il qui ed ora con le sue emozioni, le sue passioni, le sue speranze. La meta è, più che la tappa finale del nostro viaggio la stella che indica la direzione verso la quale vogliamo andare: talvolta la perdiamo di vista oppure dobbiamo fare grandi giri, tanto da avere l’impressione di esserci persi, ma quando la vediamo alta nel cielo del nostro mondo interiore sappiamo che a fatica, sbagliando, inciampando la stiamo seguendo.

Le esperienze che più hanno segnato la mia esperienza personale: la meditazione, lo psicodramma, l’arteterapia, il focusing, mi aiutano  a stabilire un dialogo con il mondo sotterraneo delle mie fantasie, dei miei sogni, della mia autrappresentazione interiore e questo dialogo tra le mie due parti mi aiuta a trovare soluzioni nuove e nuovi modi di guardare me stesso e la realtà in cui vivo. Cerco di fare i conti con i miei problemi, le mie paure, le mie ansie ma so bene che senza i battiti, i sogni, le fantasie che animano il mio cuore la vita sarebbe poca cosa, perché il senso della vita, quello che ci fa vivere davvero, è custodito nella parte profonda di noi.